venerdì 22 giugno 2012

MOG 231

D.LGS. 231/2001 E CORTE DI CASSAZIONE: CONFISCA PER TUTTI!
pubblicato il: 22 giugno 2012 alle ore 16:04
fonte: MOG 231
link: http://www.mog231.it/d-lgs-2312001-e-corte-di-cassazione-confisca-per-tutti/

Maggio 2012. Un nuovo tassello si aggiunge alla definizione di cosa
sia la Responsabilità
Amministrativa degli Enti. La Suprema Corte di Cassazione, con
sentenza del 31 maggio 2012,
n. 20976, ha infatti chiarito in modo non equivocabile che nel caso di
concorso fra la responsabilità
individuale dell'autore del reato (nel caso di specie
"corruzione" in gara di appalto) e quella ex
d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 dell'azienda che trae beneficio
dall'illecito, il decreto di sequestro
preventivo in funzione della confisca "per equivalente" può
incidere indifferentemente o
contemporaneamente sul patrimonio dell'autore materiale del reato
(persona fisica) o sui beni
della Società che ne trae interesse o vantaggio.

La Corte di Cassazione ha quindi ritenuto infondato e conseguentemente
respinto la tesi
dell'imprenditore, Legale Rappresentante di una Società a
Responsabilità Limitata, secondo cui
il d.lgs. n. 231 del 2001 si applica (art. 1) solamente a enti forniti
di personalità giuridica, alle
società e alle associazioni prive di personalità giuridica, e non
alle persone fisiche che ne hanno la
rappresentanza.

La Corte di Cassazione respinge la tesi dell'imprenditore in quanto
la confisca per equivalente
(art. 322-ter c.p.) deve "essere disposta nei confronti del reo,
quindi anche della persona fisica
materialmente autrice del reato" e non solo ed esclusivamente nei
confronti dell'azienda e del suo
patrimonio.

In base al principio solidaristico della disciplina del concorso di
persone nel reato, la Corte precisa
inoltre che il sequestro viene disposto per l'intero e non
proporzionalmente. Ciò significa che
può essere aggredito indifferentemente e per l'intera entità del
profitto accertato il patrimonio
della società o il patrimonio dell'autore materiale del reato.
L'eventuale riparto fra i concorrenti
costituisce fatto interno ai rapporti fra gli stessi.

Matteo Scomparin

Con ordinanza del 30 giugno 2011 il Tribunale di Rovigo ha respinto
l'istanza dì riesame proposta
da E.P. ed C.E.F. avverso il decreto di sequestro preventivo in
funzione della confisca "per
equivalente" disposto dal g.i.p. del medesimo Tribunale in data 3
maggio 2011 fino alla
concorrenza di Euro 1.250.091,00 sui beni del P. e di Euro 965.700,00
sui beni della C.
adozione nei loro confronti un provvedimento della specie impugnata,
dal momento che il d.lgs. n.
231 del 2001 espressamente si applica (art. 1) solamente a enti
forniti di personalità giuridica, alle
società e alle associazioni prive di personalità giuridica, ma non
anche alle persone fisiche che ne
hanno la rappresentanza, tantomeno adducendo a fondamento il concorso
nella commissione del
reato.
Il secondo motivo attiene alla falsa applicazione dell'art. 322-ter
cod. pen., nella parte in cui sulla
base di tale disposizione è stato ritenuto confiscabile (e quindi
sequestrabile) non solo il prezzo del
reato, ma anche il relativo profitto.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
2. La prima questione, relativa all'estensione del sequestro
finalizzato alla confisca per equivalente
alle persone fisiche è destituita di fondamento in quanto omette di
considerare il disposto dell'art.
322-ter cod. pen.
La norma prevede, infatti, che la confisca (e quindi anche il
sequestro ad essa preordinato) deve
essere disposta nei confronti del "reo", quindi anche della
persona fisica materialmente autrice del
reato.
Nel caso di concorso fra la responsabilità individuale dell'autore
e quella ex d.lgs. 8 giugno 2001, n.

231, questa Corte ha chiarito che il sequestro preventivo funzionale
alla confisca per equivalente
del profitto del reato di corruzione può incidere contemporaneamente
od indifferentemente sui beni
dell'ente che dal medesimo reato ha tratto vantaggio e su quelli
della persona fisica che lo ha
commesso (Sez. 6, 5/3/2009 n. 26611 Rv. 244254).
In particolare, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per
equivalente sui beni della persona
fisica non richiede, per la sua legittimità, la preventiva escussione
del patrimonio della persona
giuridica nell'interesse della quale il reato è stato commesso
(Sez. 3, 27/1/2011 n. 7138 Rv.
249398; Sez. 2, 20/12/2006 n. 10838/2007 Rv. 235827). Ed infatti,
nessuna norma impone di
perseguire il patrimonio della persona giuridica beneficiaria
dell'utile determinato dal reato, prima
di aggredire il patrimonio del soggetto concorrente nel reato
medesimo.
Ed inoltre, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per
equivalente può interessare
indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l'intera
entità del profitto accertato, anche se
l'espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel
quantum l'ammontare
complessivo dello stesso (Sez. 5, 3/2/2010 n. 10810 Rv. 246364; Sez.
5, 24/1/2011 n. 13277 Rv.
249839). Difatti, il principio solidaristico che informa la disciplina
del concorso di persone nel
reato, implica l'imputazione dell'intera azione delittuosa e
dell'effetto conseguente in capo a
ciascun concorrente e comporta la solidarietà nella pena. Atteso il
carattere sanzionatorio della
confisca per equivalente, la stessa può quindi interessare ciascuno
dei concorrenti fino all'intera
entità del prezzo o del profitto del reato. L'eventuale riparto fra
i concorrenti costituisce fatto
interno ai rapporti fra gli stessi.
3. I principi di diritto sopra esposti contraddicono alla radice le
censure svolte dai ricorrenti con il
primo motivo.
Piuttosto, deve concludersi che è immune da censure di legittimità
l'operato dei giudici di merito
che hanno disposto il sequestro non soltanto nei confronti della
società che ha beneficiato del
prezzo o del profitto del reato, ma anche delle persone fisiche che
hanno concorso nella sua
commissione, entro il limiti della concorrenza del quantum
complessivamente sequestrabile e
secondo il principio della solidarietà passiva.
4. Venendo all'esame del secondo motivo di ricorso, va rammentato
che le Sezioni unite di questa
Corte hanno affrontato espressamente il problema di come debba
configurarsi il "profitto del reato"
nel sequestro preventivo funzionale alla confisca c.d. per
equivalente, seppure con riferimento alla
previsione contenuta dal d.lgs. n. 231/2001 per il caso di
responsabilità degli enti collettivi (Sez. U.,
27/03/2008 n. 26654 Rv. 239924).
È stato osservato al riguardo che secondo l'impostazione del
diritto penale classico (art. 240 cod.
pen.) la confisca andava ascritta tra le misure di sicurezza
patrimoniale, fondata sulla pericolosità
derivante dalla disponibilità di cose servite o destinate a
commettere il reato; la misura era quindi
finalizzata a prevenire la commissione di ulteriori reati.
Successivamente sono state però introdotte
nell'ordinamento, in maniera sempre più marcata, ipotesi di
confisca obbligatoria del profitto
ricavato dal reato (si pensi ad esempio, per restare alla sola
disciplina codicistica, alla confisca di
cui agli artt. 322-ter, 600-septies, 640-quater, 644, 648-quater cod.
pen.); in tal modo sotto un
nomen iuris unitario hanno finito per trovare spazio istituti di
diversa natura.
Tale diversa natura emerge a chiare note nella confisca c.d. per
equivalente, cui è certamente
estranea la finalità special-preventiva e che persegue l'unico
obiettivo di privare l'autore del reato
del profitto che gliene è derivato.
Con particolare riguardo a quest'ultima ipotesi, si pone il problema
ermeneutico della
determinazione dell'oggetto dell'ablazione.
Pur in assenza di una definizione legislativa delle nozioni di
profitto e provento del reato, è
indubbio che queste assumono significati diversi in relazione ai
differenti contesti normativi in cui
sono inserite.
Si ritiene, in particolare, che nel contesto di un'attività
totalmente illecita, la nozione di profitto del
reato finisce col comprendere "qualsiasi cosa" riveniente dal
fatto delittuoso, individuata
esclusivamente secondo il criterio selettivo della
"pertinenzialità" del profitto al reato medesimo,

ossia della circostanza che l'uno costituisca una conseguenza
economica immediata dell'altro. In tal
caso, non può farsi spazio all'uso di parametri valutativi di tipo
aziendalistico e, in particolare, non
è possibile distinguere fra il profitto e l'utile "netto",
cioè l'effettivo guadagno percepito dal reo.
Tutta la prestazione è, per così dire, geneticamente marchiata di
illiceità e deve essere confiscata.
Altra valutazione deve essere compiuta, invece, nel caso in cui il
fatto-reato si inserisce nel contesto
di una attività che in sé sarebbe lecita, tanto più se
caratterizzata da un rapporto di scambio di
natura sinallagmatica.
Assume rilievo, quindi, la distinzione fra il "reato contratto",
cioè il caso in cui vi è una vera a
propria immedesimazione del reato con il negozio giuridico, ed il
"reato in contratto", che si ha
allorquando il comportamento penalmente rilevante non coincide con la
stipulazione del contratto
in sé, ma va ad incidere solamente sulla fase di formazione della
volontà contrattuale o su quella di
esecuzione del programma negoziale.
In questa seconda ipotesi, il contratto "a valle" è lecito ed
eventualmente annullabile ex art. 1439
cod. civ..
È di tutta evidenza che nel caso di "reato in contratto" il
profitto tratto dall'agente non è
interamente ricollegabile alla condotta penalmente sanzionata,
giacché la legge penale non
stigmatizza la stipulazione contrattuale tout court, ma esclusivamente
il comportamento tenuto, nel
corso delle trattative o della fase esecutiva, da una parte in danno
dell'altra.
Ed allora, il profitto del reato confiscabile non corrisponde a
qualsiasi prestazione percepita in
esecuzione del rapporto contrattuale, ma solo al vantaggio economico
derivante dal fatto illecito.
Per cui, se il fatto penalmente rilevante (ad esempio, una corruzione)
ha inciso sulla fase di
individuazione dell'aggiudicatario di un pubblico appalto, ma poi
l'appaltatore ha regolarmente
adempiuto alle prestazioni nascenti dal contratto (in sé lecito), il
profitto del reato per il corruttore
non equivale all'intero prezzo dell'appalto, ma solo al vantaggio
economico conseguito per il fatto
di essersi reso aggiudicatario della gara pubblica. Tale vantaggio
corrisponde, quindi, all'utile netto
dell'attività d'impresa.
5. Nella specie, il reato per il quale è stato disposto il sequestro
è costituito da una truffa ai danni
dello Stato. Trattasi di un "reato contratto", alla stregua della
ricostruzione giuridica della figura
illustrata nelle pagine precedenti.
Consegue che, essendovi la totale immedesimazione del reato con il
negozio giuridico, l'intero
prezzo è sequestrabile, senza fare alcun riferimento alla distinzione
fra questo ed il profitto.
Anche sotto questo profilo si deve quindi rilevare che il
provvedimento impugnato risulta essersi
conformato ai principi di diritto elaborati da questa Corte.
6. Il ricorso è quindi infondato e deve essere rigettato. Ai sensi
dell'art. 616 cod. proc. pen., le parti
private che lo hanno proposto devono essere condannate al pagamento
delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.

Depositata in Cancelleria il 31.05.2012



vedi l'originale (D.LGS. 231/2001 E CORTE DI CASSAZIONE: CONFISCA PER TUTTI!) su: http://www.mog231.it/d-lgs-2312001-e-corte-di-cassazione-confisca-per-tutti/

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