martedì 18 dicembre 2012

Modello 231

Bilateralità e problematiche fiscali
pubblicato il: 26 agosto 2010 alle ore 12:49
fonte: Modello 231
link: http://www.mog231.it/bilateralita-e-problematiche-fiscali/

di Eugenio della Valle
1) Premessa. Con le lenti del tributarista il tema della bilateralità
può essere affrontato avendo riguardo ai seguenti tre aspetti: (I) la
natura, commerciale o meno, dell'ente bilaterale; (II) il regime
delle entrate contributive; (III) il regime delle prestazioni erogate.
Il dato di partenza mi pare sia rappresentato dall'art. 2, comma 1,
lett. h), del d.lgs. n. 276/2003, il quale, nel trarre indicazioni
dalla realtà fenomenologica, definisce gli enti bilaterali come
"organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei
datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più
rappresentative, quali sedi privilegiate per la regolazione del
mercato del lavoro attraverso: la promozione di una occupazione
regolare e di qualità; l'intermediazione nell'incontro tra domanda e
offerta di lavoro; la programmazione di attività formative e la
determinazione di modalità di attuazione della formazione
professionale in azienda; la promozione di buone pratiche contro la
discriminazione e per la inclusione dei soggetti più svantaggiati; la
gestione mutualistica di fondi per la formazione e l'integrazione del
reddito; la certificazione dei contratti di lavoro e di regolarità o
congruità contributiva; lo sviluppo di azioni inerenti la salute e la
sicurezza sul lavoro; ogni altra attività o funzione assegnata loro
dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento".
Trattasi dunque di strutture organizzative non profit che erogano
prestazioni o servizi sulla base di regole fissate in sede di
contrattazione collettiva. Il contratto collettivo costituisce la
fonte primaria di regolazione ed indirizzo del fenomeno che si
caratterizza, sotto il profilo del modello giuridico assunto dalla
struttura organizzativa, per una "pluralità morfologica"; e ciò
nel senso che alle parti sociali è lasciata ampia autonomia nella
selezione del modello giuridico mediante il quale esercitare le
attività di cui sopra, che si tratti di s.r.l., consorzio, ente
personificato o non, cassa di previdenza o comitato misto. Ferma
restando, comunque, la composizione bilaterale degli organi che impone
la gestione paritaria fra rappresentanti dei lavoratori e dei datori
di lavoro.
Prevale comunque nella prassi operativa l'utilizzo del modello
giuridico dell'associazione, riconosciuta o meno (è peraltro
frequente il caso in cui gli associati sono rappresentati da altre
associazioni).
La Corte di Cassazione, con riferimento agli enti bilaterali, si
esprime in termini di "enti di fatto, dotati di autonomia ed idonei
ad essere titolari di rapporti giuridici propri, distinti dai soggetti
che ad essa hanno dato vita e da coloro (datori di lavoro e
lavoratori) ai quali sono destinati i servizi e le prestazioni che ne
costituiscono gli scopi; pertanto essi hanno la capacità processuale
di stare in giudizio in persona dell'organo (Presidente) che ne ha
per statuto la rappresentanza legale; una propria organizzazione,
interna ed esterna, regolata dai patti dell'accordo associativo o,
in difetto, ove non incompatibili, dalle norme disciplinanti le
associazioni riconosciute e le società, quali elementi integrativi di
quei patti" (Così Cass., Sez. Lav., 6.3.1986, n. 1502, in Mass.
Giur. Lav., 1986).
Il patrimonio dell'ente bilaterale è rappresentato dai contributi
degli "aderenti" ossia i lavoratori e le imprese laddove i
meccanismi di contribuzione variano a seconda del tipo di ente
bilaterale e vanno dalla "contribuzione obbligatoria pura" di cui
all'art. 2, comma 28, della l. n. 662/1996 e sue varianti, alla
"contribuzione obbligatoria ad utilizzo facoltativo" secondo lo
schema dell'art. 118, commi 3, 5 ed 8, del d.lgs. n. 388/2000, alla
"contribuzione per dovere libero" di cui all'art. 10 della l. n.
30/2003 ed alla "contribuzione per dovere libero su contegno del
lavoratore" ricollegabile all'obbligazione contributiva a favore
di forme pensionistiche complementari di cui al d.lgs. n. 252/2005
(Per una rassegna di tali meccanismi v. M. FAIOLI, Riflessioni in tema
di organizzazione ed azione dell'ente bilaterale nel mercato del
lavoro, in AA.VV., Indagine sulla bilateralità nel terziario, Torino,
2010).
Le attività svolte dall'ente bilaterale attengono in particolare
alla mediazione tra domanda ed offerta di lavoro anche in relazione
all'inserimento lavorativo di disabili e svantaggiati (raccolta di
curricula, svolgimento di operazioni di preselezione, effettuazione di
comunicazioni obbligatorie relative ad assunzioni avvenute mediante
intermediazione etc.), alla promozione della formazione, vuoi nella
dimensione dell'apprendistato che in quella di gestione mutualistica
dei fondi per la formazione e l'integrazione del reddito, alla
certificazione con finalità diverse che vanno dalla regolarità
contributiva, alla prevenzione delle controversie in materia di
qualificazione del lavoro svolto, alla volontà abdicativa di diritti
ed all'assistenza ed informazione delle parti etc..

2) Natura dell'ente bilaterale. Alla luce di quanto sopra e
tralasciando il caso in cui l'ente bilaterale assuma la forma di
s.r.l., mi pare si possa affermare che l'ente che ne occupa, ai fini
delle imposte sui redditi e dell'IVA (e, dunque, dell'IRAP) si
configuri quale ente non commerciale ossia quale ente che, utilizzando
la terminologia dell'art. 73, comma 1, lett. c), del Tuir, non ha
per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di un'attività
commerciale.
Ad una tale conclusione pervenendosi non tanto in ragione del
particolare tipo di attività che svolge l'ente in questione,
giacché taluni servizi resi dal medesimo in astratto potrebbero
essere gestiti economicamente (nel senso di assicurare la copertura
dei costi di funzionamento con entrate almeno prevalentemente di tipo
corrispettivo), quanto in ragione del fatto che i costi di gestione
sono coperti esclusivamente con entrate contributive degli
"aderenti" ovvero con erogazioni liberali di terzi soggetti. E'
noto, infatti, che la più accreditata dottrina tributaria considera
implicita nella nozione di impresa fiscalmente rilevante (e di
attività commerciale), l'economicità ossia l'essere
l'attività rivolta verso i terzi e verso il mercato e strutturata
in modo che i costi di gestione siano tendenzialmente coperti con i
ricavi dell'attività e non già con criteri contributivi o
sovvenzionatori (Sul punto v., tra gli altri, V. FICARI,
Strumentalità dell'attività commerciale e fine non lucrativo nella
tassazione delle associazioni, in A. FEDELE (a cura di), Il regime
fiscale delle associazioni, Padova, 1998, 5-7).
Peraltro, allorquando l'ente bilaterale assuma la forma
dell'associazione o del consorzio, la non commercialità dell'ente
potrebbe conseguire comunque dalla previsione di cui all'art. 148,
comma 1, del Tuir secondo cui: (i) "non è considerata commerciale
l'attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in
conformità alle finalità istituzionali, dalle associazioni, dai
consorzi e dagli altri enti di tipo associativo"; (ii) "Le somme
versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi
associativi non concorrono a formare il reddito complessivo".
La suddetta disposizione, in buona sostanza, detassa l'attività
c.d. interna degli enti di tipo associativo ossia l'attività svolta
in favore dei soli associati a fronte della quale sta la quota
associativa (quanto all'IVA si perviene alla stessa conclusione alla
luce dei presupposti di applicazione del tributo: per tutti v. G.G.
BERLINGIERI, Gli enti non commerciali, in F. TESAURO (a cura di),
L'imposta sul valore aggiunto, Torino, 2001, 207.
). Ebbene, nel caso dell'ente bilaterale a forma associativa laddove
gli organismi associati rappresentano (trattasi di rappresentanza
sindacale) gli "aderenti" (lavoratori ed imprese), non ha senso
escludere l'applicazione dell'anzidetta disposizione solo per
effetto della dissociazione tra qualifica di associato e soggetto che
versa la contribuzione all'ente (ossia l'"aderente").
Non escluderei a priori nemmeno l'applicazione all'ente bilaterale
dell'art. 74, comma 2, del Tuir laddove si prevede la non
commercialità, da un lato, dell'"esercizio di funzioni statali da
parte di enti pubblici" (lett. a)), e, dall'altro,
"l'esercizio di attività previdenziali, assistenziali e sanitarie
da parte di enti pubblici istituiti esclusivamente a tal fine,
comprese le aziende sanitarie locali".
Tale ultima previsione, infatti, per quanto riguarda in particolare
l'attività previdenziale, viene intesa in dottrina, svalutando il
riferimento alla pubblicità dell'ente che svolge l'attività in
questione, nel senso di escludere la natura commerciale della predetta
attività ove svolta nell'ambito del sistema della previdenza
pubblica indipendentemente dalla qualificazione, pubblica o privata,
del soggetto medesimo (V. P. PURI, Associazioni ed attività
previdenziale: profili dell'imposizione diretta, in A. FEDELE (a
cura di), op,cit., 166 ss.
); sicché ci si deve chiedere se alla stessa conclusione non si debba
eventualmente pervenire anche per l'attività assistenziale resa da
un ente, quale quello bilaterale, che eroga specifici servizi e
prestazioni individuati sulla base di regole fissate dalla
contrattazione collettiva ed orientati al perseguimento di
"finalità lato sensu complementari del welfare pubblico" (così
G. PROIA, Enti bilaterali e riforma del mercato del lavoro, in DL,
2003, 649; si consideri comunque che l'art. 38, comma 11, del d.l.
n. 78 del 31.5.2010 modifica la lett. b) dell'art. 74 del Tuir
inserendo alla fine le parole «nonché l'esercizio di attività
previdenziali e assistenziali da parte di enti privati di previdenza
obbligatoria»).
Quanto alla possibile qualificazione dell'ente bilaterale quale
ONLUS, qualificazione che potrebbe venire in considerazione in ragione
dello svolgimento da parte dell'ente medesimo di attività che
potrebbero forse astrattamente rientrare in quelle, menzionate
nell'art. 10, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 460/97, di assistenza
sociale e socio-sanitaria nonché di assistenza sanitaria e di
formazione, mi pare che a ciò osti in via di principio la circostanza
che l'attività di una ONLUS deve perseguire finalità di
solidarietà sociale ossia non deve essere rivolta ai soci, associati
o partecipanti se non quando tali soggetti sono "persone
svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche,
sociali o familiari" (v. art. 10, commi 2 e 3, del d.lgs. n.
460/97). Peraltro il comma 10 del suddetto art. 10 esclude che le
organizzazioni sindacali, le associazioni di datori di lavoro e le
associazioni di categoria possano considerarsi ONLUS e a me pare che
(quantomeno) la prossimità dell'ente bilaterale a tali categorie
sia indiscutibile.

3) Il regime delle contribuzioni. Consegue da quanto precede che i
contributi versati da imprese e lavoratori per dotare l'ente
bilaterale del patrimonio necessario alle funzioni assegnate dalla
contrattazione collettiva non dovrebbero costituire reddito per
l'ente medesimo, né corrispettivo di un'operazione imponibile ai
fini IVA.
Particolarmente delicato é il tema della sorte dei contributi in capo
al soggetto erogante e ciò considerato che, se é vero che il
predetto soggetto (l'"aderente") non dovrebbe aver diritto alla
restituzione del patrimonio dell'ente, neppure in caso di
scioglimento dello stesso, probabilmente sarebbe impropria una
qualificazione della contribuzione in termini di mero versamento a
fondo perduto. In effetti la gestione mutualistica del patrimonio
ridonda a vantaggio degli stessi "aderenti" e, indirettamente,
degli associati (nel senso che una qualificazione in termini di
versamento a fondo perduto consente una considerazione del versamento
in termini di elemento incidente negativamente sulla redditività
complessiva dell'associato che lo corrisponde, v. L. CASTALDI, I
rapporti economico patrimoniali tra associati e associazione nella
disciplina delle imposte dirette e nell'IVA, in A. FEDELE (a cura
di), op.cit., 76).
Di qui l'interrogativo circa la deducibilità delle contribuzioni in
questione, la quale può astrattamente ammettersi solo ove ci si
collochi all'interno della disciplina relativa alla determinazione
del reddito d'impresa ovvero all'interno della casistica degli
oneri deducibili/detrazioni per oneri di cui, rispettivamente, agli
artt. 10 e 15 del Tuir.
Quanto alla disciplina relativa alla determinazione del reddito
d'impresa, com'é noto, l'art. 99 del Tuir prevede la
deducibilità per cassa dei "contributi ad associazioni sindacali e
di categoria .... se e nella misura in cui sono dovuti, in base a
formale deliberazione dell'associazione" e si tratta di una
previsione che dimostrerebbe come il legislatore tributario abbia
avocato a sé la valutazione circa l'inerenza delle contribuzioni
associative prescrivendo la deducibilità delle sole contribuzioni
espressamente contemplate dalla norma (In questi termini L. CASTALDI,
op. e loc. cit., 77, in nota 60.).
Un'interpretazione estensiva del suddetto articolo conforme alla sua
ratio dovrebbe consentirne l'applicazione anche al caso del
contributo versato dall'impresa all'ente bilaterale. Se infatti
hanno natura sindacale gli organismi associati, perché non
riconoscere la stessa natura all'ente dagli stessi costituito ?
Quanto, invece, alle casistiche rinvenibili nei citati artt. 10 e 15
del Tuir (contenenti elencazioni tassative), parrebbe difficile
ricondurvi le contribuzioni in oggetto. E questo vale anche per la
fattispecie di cui alla lett. e) dell'art. 10 relativa ai
"contributi previdenziali ed assistenziali versati in ottemperanza a
disposizioni di legge, nonché quelli versati facoltativamente alla
gestione della forma pensionistica obbligatoria di appartenenza, ivi
compresi quelli per la ricognizione di periodi assicurativi"; solo
forzando l'inciso "in ottemperanza a disposizioni di legge" ed
accedendo ad una sua lettura nel senso di "in conformità alla
legge", infatti, la contribuzione avente la finalità ivi prevista
potrebbe essere ammessa in deduzione.
In una prospettiva esterna alla disciplina relativa alla
determinazione del reddito d'impresa appare, dunque, improbabile la
deducibilità delle contribuzioni.
Il profilo della deducibilità per l'erogante non é peraltro
l'unico che interessa la contribuzione effettuata in favore
dell'ente bilaterale.
Per il lavoratore, infatti, si pone il problema se la predetta
contribuzione concorra o meno a formare il proprio reddito imponibile.
E sul punto potrebbe diventare rilevante il meccanismo di
contribuzione che, volta a volta, viene in considerazione posto che
l'art. 51, comma 2, lett. a), del Tuir prevede che non concorrono a
formare il reddito di lavoro dipendente "i contributi previdenziali
e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in
ottemperanza a disposizioni di legge", laddove invece "i
contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal
lavoratore ad enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale in
conformità a disposizione di contratto o di accordo o di regolamento
aziendale, che operino negli ambiti di intervento stabiliti con il
decreto del Ministro della salute di cui all'art. 10, comma 1, lett.
e ter)", non concorrono "per un importo non superiore
complessivamente ad euro 3.615,20" (più ampia é l'omologa
esclusione prevista ai fini della determinazione dell'imponibile
previdenziale dall'art. 6, comma 4, lett. f), del d.lgs. n. 314 del
1997 laddove sono menzionati i contributi versati a finanziamento di
"casse, fondi, gestioni previste da contratti collettivi o da
accordi o da regolamenti aziendali, al fine di erogare prestazioni
integrative previdenziali o assistenziali a favore del lavoratore e
suoi familiari nel corso del rapporto o dopo la sua cessazione" a
nulla rilevando il carattere eventuale o meno della loro
corresponsione).
Dunque solo determinati contributi vengono detassati. Per tutti gli
altri non giova, onde escluderne il concorso alla formazione del
reddito di lavoro dipendente, la circostanza che dei contributi
versati il lavoratore non ha la disponibilità e, quindi, il possesso
trovandosi gli stessi segregati presso un soggetto terzo, l'ente
bilaterale, appunto (cfr. P. PURI, Destinazione previdenziale e
prelievo tributario, Milano, 2005, 188).

4) Il regime delle prestazioni. Venendo al regime delle prestazioni
erogate dall'ente bilaterale, é chiaro che l'eventuale rilevanza
reddituale delle stesse pone problemi di doppia imposizione. Se
infatti la prestazione concorre a formare il reddito di lavoro
dipendente del beneficiario ed a fronte della prestazione vi é un
contributo non dedotto o comunque tassato, il rischio é, appunto, la
duplicazione d'imposta (duplicazione che diventa vieppiù
censurabile nel momento in cui esiste un rapporto diretto tra
contributo e prestazione: sul punto, con particolare riferimento ai
contributi con finalità previdenziali, v. P. PURI, op.ult.cit., 187).
Trattasi di un rischio tutt'altro che remoto stante la
configurazione in senso tendenzialmente onnicomprensivo della nozione
di reddito di lavoro dipendente quale risultante dall'art. 51, comma
1, del Tuir (su tale nozione v., per tutti, A. URICCHIO, Flessibilità
del lavoro e imposizione tributaria, Bari, 2004, 82 ss.): tutto ciò
(somme o "valori") che viene percepito "in relazione al rapporto
di lavoro", quale che sia il titolo, concorre a formare
l'imponibile fiscale in capo al lavoratore e le uniche eccezioni
sono quelle elencate nel secondo comma dello stesso art. 51.
Cosicché occorre domandarsi se l'ente bilaterale non assuma, nel
caso di prestazioni tassabili in capo al lavoratore, il ruolo di
sostituto d'imposta.
Sul punto viene in considerazione la nota Circolare ministeriale del
23 dicembre 1997, n. 326 che, con riferimento all'art. 23 del d.P.R.
n. 600/73, al par. 3.2. prevede, da un lato, che "l'obbligo di
effettuare la ritenuta da parte dei sostituti d'imposta sussiste ogni
qual volta corrispondano redditi cui si rende applicabile la
disciplina contenuta nel richiamato articolo 48 del TUIR e anche se le
somme e i valori in questione sono erogati a favore di soggetti che
non sono propri dipendenti, ma pensionati o dipendenti in cassa
integrazione, mobilità, maternità, etc."; dall'altro che
"poiché costituiscono redditi di lavoro dipendente, da determinare
a norma dell'articolo 48 del TUIR, non soltanto le somme e i valori
che il datore di lavoro corrisponde direttamente, ma anche le somme e
i valori che in relazione al rapporto di lavoro sono erogate da
soggetti terzi rispetto al rapporto di lavoro, ne discende che il
datore di lavoro-sostituto d'imposta deve effettuare le ritenute a
titolo di acconto con riferimento a tutte le somme e i valori che il
lavoratore dipendente percepisce in relazione al rapporto di lavoro
intrattenuto con lui, anche se taluni di questi sono corrisposti da
soggetti terzi per effetto di un qualunque collegamento esistente con
quest'ultimo (ad esempio, un accordo o convenzione stipulata dal
sostituto d'imposta con il soggetto terzo). Ciò significa che tra il
sostituto d'imposta e il terzo erogatore o il dipendente sarà
obbligatorio un sistema di comunicazioni che consenta di assoggettare
correttamente a tassazione il totale reddito di lavoro dipendente
corrisposto".
Non é chiarissimo il rapporto tra i due passi in questione e cosa
accada dunque quando del reddito di lavoro dipendente sia corrisposto
da un soggetto terzo rispetto al datore di lavoro. In effetti il primo
passo della Circolare parrebbe attribuire al terzo il ruolo di
sostituto d'imposta, mentre il secondo va nel senso opposto (ossia
nel senso di riconoscere il predetto ruolo al datore di lavoro che al
terzo ricorre per l'erogazione del reddito).
Ciò nondimeno, tenderei ad applicare al caso delle prestazioni rese
dagli enti bilaterali la seconda soluzione (e cioè sostituto
d'imposta rimane il datore di lavoro) in ragione del fatto che il
rapporto tra ente bilaterale e datore di lavoro é in qualche modo
accostabile a quello che trae origine, utilizzando il wording della
poc'anzi citata Circolare, da un accordo o una convenzione stipulata
tra il sostituto d'imposta (il datore di lavoro) con il soggetto
terzo.

5) Conclusioni. Da queste brevissime note emerge, in conclusione, la
trama della fiscalità della c.d. bilateralità quale fattispecie
complessa ed unitaria articolata nelle diverse fasi che vanno dalla
contribuzione all'ente alle prestazioni dallo stesso erogate
(passando per la gestione del patrimonio che qui, tuttavia, non si é
considerata) (Per la ricostruzione delle fasi in cui si articola la
disciplina fiscale della previdenza (settore che può costituire un
modello di riferimento per la fiscalità della bilateralità) quale
fattispecie complessa ed unitaria v. P. PURI, op.ult.cit., 182..
Trattasi di una trama che andrebbe meglio messa a fuoco in funzione
delle diverse variabili presenti nel fenomeno della bilateralità in
termini ad esempio di forma dell'ente erogatore, di tipo di soggetto
promotore, di natura delle prestazioni erogate etc., ma che nelle sue
coordinate essenziali mi pare possa dirsi sopra compiutamente
delineata.
Si intrecciano al suo interno tematiche di settore di non poco momento
quali, si é visto, il concetto tributario di impresa, la sorte
dell'apporto di capitali in enti non societari ed il presupposto
delle imposte sui redditi rappresentato dal possesso e l'impressione
che se ne trae é che il terreno della bilateralità per il
tributarista sia effettivamente ricco di insidie.
Impressione che risulta peraltro confermata dalla circostanza che alla
fiscalità della bilateralità sono dedicati due emendamenti
all'Atto Senato n. 2228 relativo alla conversione in legge del
decreto-legge n. 78 del 2010.
Con uno si prevede l'inserimento nell'art. 51 del Tuir della lett.
a-bis) relativa alle "somme versate dai datori di lavoro e dai
lavoratori agli organismi paritetici costituiti in conformità ad
accordi collettivi nazionali di lavoro stipulati tra le organizzazioni
sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più
rappresentative nella categoria"; tali somme, oltre a non costituire
reddito per il lavoratore, prevede la nuova lett. a-bis, "non
costituiscono per l'organismo bilaterale reddito di cui all'articolo 6
del dpr n. 917 del 1986 né sono incluse nella base imponibile di cui
all'articolo 75 del dpr n. 917 del 1986".
Si legge nella motivazione dell'emendamento in questione che,
considerate le finalità statutarie degli enti bilaterali, "si
propone di introdurre un trattamento fiscale adeguato alla rilevanza
istituzionale degli enti bilaterali medesimi, al fine di incentivare
lo sviluppo dei sistemi di relazioni sindacali e di non penalizzare
gli investimenti operati dalle imprese e dai lavoratori nel campo
della formazione, della solidarietà sociale, della sicurezza sul
lavoro, della conciliazione delle vertenze, disponendo l'esclusione
dei contributi versati dal datore di lavoro e dai lavoratori dalla
retribuzione imponibile ai fini fiscali e contributivi".
Con il secondo emendamento si prevede invece che, "Ai fini
dell'applicazione del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460,
gli organismi paritetici costituiti in conformità ad accordi
collettivi nazionali di lavoro stipulati tra le organizzazioni
sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più
rappresentative nella categoria sono equiparati alle associazioni
sindacali". Previsione, questa, in linea con alcune delle
considerazioni che precedono e giustificata con la motivazione per
cui, "In considerazione della importanza che gli enti bilaterali
rivestono per la strategia di creazione e di consolidamento
dell'occupazione, si richiede l'adozione di una norma di
interpretazione autentica al fine di chiarire che a tali organismi,
quando costituiti tra le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro
e dei lavoratori comparativamente più rappresentative nella
categoria, si applica la disciplina tributaria applicabile per le
associazioni sindacali".
Segno evidente, tali emendamenti, che la normativa tributaria vigente
sta effettivamente stretta al fenomeno della bilateralità.
Pubblicato il 25/08/2010
Fonte Treccani.it

vedi l'originale (Bilateralità e problematiche fiscali) su: http://www.mog231.it/bilateralita-e-problematiche-fiscali/

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