domenica 5 ottobre 2014

MOG 231 - Modelli di Organizzazione e Gestione

Un nuovo post "I datori di lavoro devono conservari gli attestati" è stato pubblicato il giorno 5 ottobre 2014 alle ore 18:53 all'interno di "MOG 231 - Modelli di Organizzazione e Gestione".

Con la *Sentenza 9 settembre 2014 n. 37312*, la Quarta Sezione Penale
della Suprema Corte ha affermato che i datori di lavoro ai sensi
dell'art. 37 D.Lgs.81/08 devono "_ottemperare all'obbligo di
formazione dei dipendenti e devono conservare in azienda la
attestazione della avvenuta formazione_"

Nella fattispecie, un datore di lavoro "_è stato chiamato a
rispondere, davanti al Tribunale di Belluno del reato ex art. 55 co. 5
lett. c), d.Lvo 81/08, in relazione all'art. 37 co. 1 stesso decreto,
perché,quale titolare della R. Srl non aveva provveduto ad assicurare
una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e
sicurezza sul lavoro in relazione alla mansione di boscaiolo svolta
dall'infortunato E.V., con le specifiche misure prevenzionistiche,
tipiche del settore boschivo._"

Il datore di lavoro, condannato dal Tribunale, ricorre in Cassazione,
lamentando, tra i vari motivi di ricorso, la "_non necessità della
prova scritta da parte del datore di lavoro della avvenuta formazione
del lavoratore fino al 2011_".

La Cassazione rigetta il ricorso ed afferma la necessità che tale
prova scritta venga fornita dal datore di lavoro.

Secondo la Suprema Corte, infatti, "è il R. che doveva fornire la
prova sulla formazione del V. per i seguenti motivi:
- i datori di lavoro sono tenuti, ex artt. 37 (disposizione che ha
sostituito l'art. 22, co. 1, d.lvo 626/94 ) e 55, co. 5, d.Lvo 81/08,
ad ottemperare all'obbligo di formazione dei dipendenti, e devono
conservare in azienda la attestazione della avvenuta formazione,
secondo il dettato di cui al decreto ministeriale del 16/1/1997,
richiamato implicitamente dall'allegato A), punto 10 dell'Accordo
Stato-Regioni del 21/12/2011.
- la mancata produzione da parte del R. della relativa documentazione
non è giustificata."

Poi, prosegue la Corte, "del pari, non è fondata la tesi sostenuta
dallo stesso imputato, secondo cui la avvenuta formazione, all'epoca
del fatto, poteva essere anche dimostrata verbalmente dal datore di
lavoro, in quanto il co. 2 dell'art. 37 del citato decreto rimette
alla conferenza tra Stato e Regioni la determinazione della durata,
dei contenuti minimi e delle modalità della formazione che il
responsabile è tenuto a dare al lavoratore, accordo tra Stato e
Regioni stipulato solo nel 2011.

*La compiuta lettura della normativa in materia, però, consente di
rilevare che:*
- il d.lvo 81/08, all'art. 37 co. 2 rimette all'accordo Stato-Regioni
le modalità, come detto, di regolamentazione della formazione del
soggetto lavoratore-dipendente;
- l'allegato A), punto 10 dell'accordo Stato-Regioni del dicembre
2011, richiama implicitamente il d.M. 16/1/1997 e i contratti
collettivi di lavoro quanto alla formazione obbligatoria del
lavoratore e alle relative modalità di esecuzione, laddove dispone
che '"in fase di prima applicazione non sono tenuti a frequentare i
corsi di formazione di cui ai punti 4, 5 e 6 i lavoratori, i dirigenti
e i preposti che abbiano frequentato corsi di formazione formalmente e
documentalmente approvati alla data di entrata in vigore del presente
accordo, rispettosi delle previsioni normative e delle indicazioni
previste nei contratti collettivi di lavoro per quanto riguarda
durata, contenuti e modalità di svolgimento dei corsi."

*Sentenza*

*Cassazione Penale, Sez. 4, 09 settembre 2014, n. 37312 - Mansione di
boscaiolo e mancata formazione in materia di salute e sicurezza sul
lavoro*

*Fatto*

G.R. è stato chiamato a rispondere, davanti al Tribunale di Belluno
del reato ex art. 55 co. 5 lett. c), d.Lvo 81/08, in relazione
all'art. 37 co. 1 stesso decreto, perché, quale titolare della R.L.
srl non aveva provveduto ad assicurare una formazione sufficiente ed
adeguata in materia di salute e sicurezza sul lavoro in relazione alla
mansione di boscaiolo svolta dall'infortunato E.V., con le specifiche
misure prevenzionistiche, tipiche del settore boschivo.

Il Tribunale, riconosciuta la responsabilità dell'imputato per il
reato ad esso contestato, condannava lo stesso alla pena ritenuta di
giustizia.

Propone ricorso per cassazione la difesa del R. con i seguenti motivi:

- violazione degli artt. 27, co. 2 Cost., 192 e 533 cod.proc.pen., non
potendosi ascrivere all'imputato l'onere di provare la propria
innocenza, in quanto è l'accusa che deve fornire la prova della
colpevolezza del prevenuto;

- vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di
emergenze istruttorie atte a suffragare la tesi dell'accusa e, quindi,
a riconoscere la colpevolezza dell'imputato;

- violazione di legge sostanziale in punto di non necessità della
prova scritta da parte del datore di lavoro della avvenuta formazione
del lavoratore fino al 2011;

- vizio di motivazione con riferimento all'art. 31, d.Lvo 81/08, norma
inconferente ed estranea al capo di imputazione;

*Diritto*

Il ricorso è inammissibile.

Il vaglio di legittimità, a cui è stata sottoposta l'impugnata
pronuncia, consente di ritenere logica e corretta la argomentazione
motivazionale, adottata dal decidente, in ordine alla sussistenza del
reato contestato e alla ascrivibilità di esso in capo al prevenuto.

Il primo motivo di annullamento è del tutto destituito di fondamento,
rilevato che è il R. che doveva fornire la prova sulla formazione del
V. per i seguenti motivi:

- i datori di lavoro sono tenuti, ex artt. 37 (disposizione che ha
sostituito l'art. 22, co. 1, d.lvo 626/94 ) e 55, co. 5, d.Lvo 81/08,
ad ottemperare all'obbligo di formazione dei dipendenti, e devono
conservare in azienda la attestazione della avvenuta formazione,
secondo il dettato di cui al decreto ministeriale del 16/1/1997,
richiamato implicitamente dall'allegato A), punto 10 dell'Accordo
Stato-Regioni del 21/12/2011.

- la mancata produzione da parte del R. della relativa documentazione
non è giustificata.

Del pari, non è fondata la tesi sostenuta dallo stesso imputato,
secondo cui la avvenuta formazione, all'epoca del fatto, poteva essere
anche dimostrata verbalmente dal datore di lavoro, in quanto il co. 2
dell'art. 37 del citato decreto rimette alla conferenza tra Stato e
Regioni la determinazione della durata, dei contenuti minimi e delle
modalità della formazione che il responsabile è tenuto a dare al
lavoratore, accordo tra Stato e Regioni stipulato solo nel 2011.

La compiuta lettura della normativa in materia, però, consente di
rilevare che:

- il d.lvo 81/08, all'art. 37 co. 2 rimette all'accordo Stato-Regioni
le modalità, come detto, di regolamentazione della formazione del
soggetto lavoratore-dipendente;

- l'allegato A), punto 10 dell'accordo Stato-Regioni del dicembre
2011, richiama implicitamente il d.M. 16/1/1997 e i contratti
collettivi di lavoro quanto alla formazione obbligatoria del
lavoratore e alle relative modalità di esecuzione, laddove dispone
che '"in fase di prima applicazione non sono tenuti a frequentare i
corsi di formazione di cui ai punti 4, 5 e 6 i lavoratori, i dirigenti
e i preposti che abbiano frequentato corsi di formazione formalmente e
documentalmente approvati alla data di entrata in vigore del presente
accordo, rispettosi delle previsioni normative e delle indicazioni
previste nei contratti collettivi di lavoro per quanto riguarda
durata, contenuti e modalità di svolgimento dei corsi.
Conseguentemente, il datore di lavoro deve provare di avere
ottemperato all'obbligo in questione, in quanto tenuto a compilare un
documento sulla formazione del lavoratore, contenente i riferimenti
anagrafici di costui, le ore di formazione dedicate ai rischi, la data
della formazione medesima.

Il contestato richiamo all'art. 31, fatto dal decidente, anche a
considerarsi errato, risulta inconferente ai fini del decidere sulla
responsabilità del R.

Le emergenze istruttorie hanno consentito al giudice di merito di
rilevare l'assoluto difetto di preparazione formativa del lavoratore
alla attività alla quale era stato destinato, conseguenza del mancato
rispetto del dettato normativo in materia.

Tenuto conto, di poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della
Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per
ritenere che il R. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso deve,
a norma dell'art. 616 cod.proc.pen., essere condannato al pagamento di
una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente
fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00.

*P.Q.M.*

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della
Cassa delle Ammende della somma di euro 1.000,00.


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