Un nuovo post "Cassazione Civile, Sez. Lav., 09 settembre 2014, n. 18965 - Mobbing" è stato pubblicato il giorno 12 settembre 2014 alle ore 00:31 all'interno di "MOG 231 - Modelli di Organizzazione e Gestione".
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FEDERICO ROSELLI - Presidente -
Dott. GIOVANNI AMOROSO - Consigliere -
Dott. VITTORIO NOBILE - Rel. Consigliere -
Dott. FEDERICO BALESTRIERI - Consigliere -
Dott. PAOLA GHINOY - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 15150-2008 proposto da:
Omissis S.P.A., (già ... S.P.A.), in persona del legale
rappresentante prò tempore elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO
... presso lo studio degli avvocati ... che la rappresentano e
difendono unitamente all'avvocato ... giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
Omissis domiciliata in ROMA, VIA ... , presso lo studio dell'avvocato
... che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 3812/2007 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI,
depositata il 31/07/2007 R.G.N. 5847/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
26/06/2014 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;
udito l'Avvocato ... per delega ...;
udito l'Avvocato ...;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
FRANCESCA CERONI che ha concluso per 1'improcedibilità,
inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso.
*Fatto*
Con ricorso al Giudice del lavoro del Tribunale di Napoli del
21-3-2001 Omissis, quadro presso il Banco ... già preposta prima
all'ufficio VIII e poi all'ufficio X, assumeva: che il 15-10-1999 era
stata assegnata all'ufficio VII senza specifiche mansioni; che il
14-1-2000 le era stata affidata la preposizione dell'ufficio I
Segreteria del Servizio senza ricevere le consegne dal precedente
titolare né gli strumenti normativi necessari; che dagli inizi dei
1999 la Direzione aveva adottato nei suoi confronti soprusi e
angherie; che dal 18-9-2000, trasferita all'ufficio VI, aveva
trascorso la sua giornata quasi del tutto inattiva perché non le era
stato affidato alcun incarico; che tali comportamenti erano stati
particolarmente gravi in quanto iniziati in un periodo per lei
difficile per gravissimi motivi familiari (essendo stato il coniuge
colpito da una grave malattia che lo aveva portato alla morte nel
dicembre 1999). Tanto premesso la ricorrente chiese il risarcimento
dei danni subiti per effetto delle continue vessazioni (mobbing) di
cui era stata destinataria, da quantificarsi anche in via equitativa;
chiese, poi, che accertata la sua dequalificazione, le fossero
assegnate mansioni adeguate alla sua professionalità, con condanna
della società al risarcimento danni, da quantificarsi anche in via
equitativa.
La Omissis s.p.a. contestava quanto sostenuto dalla Omissis e
concludeva per il rigetto della domanda.
Il giudice adito, con sentenza depositata il 7-10-2003, dichiarava la
nullità della domanda riguardante il mobbing ed accoglieva la
richiesta risarcitoria per danni alla professionalità per esservi
stata dequalificazione nel periodo 18-9-2000/21-3-200; quantificava
equitativamente il risarcimento nella misura della metà delle
retribuzioni ricevute per le giornate di effettiva attività con
riferimento al predetto periodo, oltre accessori.
Con ricorso dell'8-7-2004 la Omissis impugnava parzialmente la
decisione di primo grado, con riferimento soltanto all'accertamento
della dequalificazione, in quanto i testi escussi avevano reso
dichiarazioni non interpretate correttamente dal primo giudice.
Evidenziava, poi, che quest'ultimo si era spinto ultra petita in
quanto aveva disposto il risarcimento del danno con riferimento alla
perdita di professionalità, mentre la Omissis aveva chiesto il
risarcimento per danni subiti sul piano biologico. Precisava comunque
che non era stato provato alcun danno, considerato in re ipso dal
giudice, e concludeva, pertanto, per la parziale riforma della
sentenza di primo grado con rigetto della domanda riguardante la
asserita dequalificazione e condanna dell'appellata alla restituzione
della somma di euro 4.760,11 corrisposta in dipendenza della
esecuzione della sentenza di primo grado.
Omissis si costituiva resistendo al gravame di controparte e
proponendo appello incidentale, chiedendo che la quantificazione del
risarcimento fosse estesa anche ai giorni di assenza dal lavoro nel
periodo riconosciuto dal primo giudice e che fosse accolta anche la
domanda di risarcimento da mobbing essendo stato dedotto ogni elemento
utile ai fini della sua individuazione.
La Corte d'Appello di Napoli, con sentenza depositata il 31-7-2007,
rigettava entrambi gli appelli.
In sintesi la Corte territoriale, in base alle risultanze della prova
testimoniale, riteneva accertato il demansionamento con il
trasferimento all'ufficio VI Vigilanza, allorquando la Omissis si
trovò gerarchicamente sottoposta al quadro ... svolgendo attività
del tutto secondarie e marginali. Nel contempo la Corte confermava la
determinazione equitativa del risarcimento del danno, evidenziando che
il primo giudice non era incorso in alcuna ultrapetizione, avendo la
attrice fin dall'inizio chiesto il risarcimento dei danni per essere
stata "adibita a mansioni dequalificate rispetto al grado rivestito e
ed alla professionalità raggiunta".
La Corte di merito riteneva, poi, corretta la quantificazione operata
dal primo giudice sulla base delle giornate lavorative effettive e,
seppure considerava valida la domanda di risarcimento per mobbing, la
rigettava nel merito, non essendo stati neppure allegati reiterati e
specifici comportamenti datoriali vessatori e aggressivi a suo danno,
come tali "mobbizzanti".
Per la cassazione di tale sentenza la Omissis s.p.a. ha proposto
ricorso con cinque motivi.
La Omissis ha resistito con controricorso.
La Omissis s.p.a ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
*Diritto*
Con il primo motivo, denunciando violazione dell'art. 2103 cc. e degli
artt. 1362 e ss. sull'interpretazione del ccnl dì categoria 11-7-1999
e dell'accordo 7-5-1997, la ricorrente si duole che la Corte
territoriale "si è lasciata suggestionare dalla considerazione che la
Omissis dal 18-9-2000 era stata assegnata all'ufficio Vigilanza,
dove non aveva conservato la posizione di preposta" e deduce che le
mansioni di preposizione non sono le uniche attribuite ai quadri e
neppure quelle maggiormente qualificanti" e che la Corte di merito
avrebbe dovuto accertare la equivalenza o meno delle nuove mansioni
rispetto a quelle precedenti.
Il motivo in parte è inammissibile e in parte è infondato.
In primo luogo non viene indicata specificamente la collocazione tra
gli atti processuali del ccnl e dell'accordo aziendale richiamati (v.
Cass. S.U. 3-11-2011 n. 22726), dei quali vengono, peraltro, riportati
soltanto alcuni stralci dei tutto inidonei ai fini dell'osservanza del
principio di autosufficienza, in relazione al vizio di interpretazione
dei detti atti denunciato.
La censura si incentra, poi, nella denuncia di insufficiente e
contraddittoria motivazione al riguardo e circa il necessario
accertamento della equivalenza o meno delle nuove mansioni rispetto
alle precedenti.
Tale censura è infondata in quanto la Corte di merito, dopo aver
attentamente analizzato le risultanze della prova testimoniale ha
accertato che la Omissis, allorquando venne spostata all'ufficio VI
"ha perso la preposizione che aveva avuto in precedenza" ed "è stata
addetta a tenere un registro statistico delle rapine, mansione che,
oltre ad essere di minima rilevanza, la teneva occupata solo per poco
tempo". Successivamente la Omissis "all'inizio del 2001 fu spostata
all'ufficio budget ed addetta a digitare dati al computer, per poi
giungere all'ufficio Segreteria ove si occupò dello smistamento della
Posta.
Tanto rilevato la Corte territoriale ha affermato che "le mansioni
affidate alla appellata dal settembre 2000, dunque, non sono più
state quelle di preposto con altri dipendenti a lei sottoposti ma,
oltre ad essere di poca rilevanza, escludevano anche la posizione di
preposto che, sebbene non siano le uniche affidate ai quadri, sono
certo quelle maggiormente qualificanti, rappresentative e
gratificanti; anzi, ella fu sottoposta gerarchicamente ad un altro
quadro e lasciata sostanzialmente inattiva, visto che le attività
affidatele la tenevano occupata poco tempo nell'ambito della giornata
lavorativa".
Tale accertamento di fatto risulta congruamente motivato e resiste
alla censura della società ricorrente, che, peraltro, in effetti,
neppure indica specificamente quali siano state le mansioni
qualificanti (anche se non di preposizione), svolte dalla lavoratrice,
che sarebbero state trascurate dalla Corte di merito.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la mancata considerazione
del fatto che la Omissis aveva rifiutato di ricevere il foglio
contenente il carico di lavoro che le era stato affidato, così
manifestando "un sostanziale rifiuto di eseguire le mansioni
maggiormente qualificanti che le erano state assegnate", e che nel
periodo in questione la lavoratrice era rimasta spesso assente per
malattia e cause varie.
Anche tale motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
In primo luogo la ricorrente afferma di aver censurato sul punto con
l'atto di appello la pronuncia di primo grado, ma non riporta
specificamente il contenuto di tale atto nella parte de qua, in
ossequio al principio di autosufficienza.
La ricorrente, poi, neppure indica alcuna risultanza istruttoria dalla
quale sarebbe emersa la circostanza di fatto invocata, per cui deve
ritenersi che la stessa in definitiva sia rimasta una mera asserzione.
Infine della circostanza che "il demansionamento si è perpetrato per
meno di sei mesi durante i quali la presenza al lavoro della appellata
non è stata certo costante" la Corte di merito ha già tenuto
ampiamente conto.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta ultrapetizione deducendo che
i giudici di merito hanno riconosciuto un risarcimento del danno alla
professionalità, pur avendo il ricorso introduttivo ad oggetto
soltanto il danno alla salute.
Tale motivo è infondato giacché, come ha rilevato la Corte
d'Appello, la Omissis con il ricorso introduttivo aveva chiesto il
risarcimento dei danni per essere stata "adibita a mansioni
dequalificate rispetto al grado rivestito ed alla professionalità
raggiunta", di guisa che non vi è stata alcuna ultrapetizione. Del
resto si tratta chiaramente di una componente del danno (complessivo)
lamentato con la domanda.
Infine con il quarto motivo la ricorrente lamenta che la sentenza
impugnata avrebbe "taciuto del tutto sui parametri in base ai quali ha
operato la liquidazione equitativa".
Anche tale motivo è infondato.
Come è stato chiarito da questa Corte "qualora proceda alla
liquidazione del danno in via equitativa, il giudice di merito,
affinché la sua decisione non presenti i connotati della
arbitrarietà, deve indicare i criteri seguiti per determinare
l'entità del risarcimento, risultando il suo potere discrezionale
sottratto a qualsiasi sindacato in sede di legittimità solo allorché
si dia conto che sono stati considerati i dati di fatto acquisiti al
processo come fattori costitutivi dell'ammontare dei danni liquidati"
(v. fra le altre Cass. 4-4-2013 n. 8213).
Nel caso in esame la Corte d'Appello, nel respingere l'appello
incidentale della Omissis e nel confermare la pronuncia di primo
grado, circa la quantificazione del risarcimento del danno nel 50%,
delle retribuzioni giornaliere spettanti per ogni giorno di effettivo
servizio, ha affermato che, "considerato anche che il demansionamento
si è perpetrato per meno di sei mesi" (vedi sopra), "appare
rispondente ad equità ritenere che il suo bagaglio professionale sia
stato compromesso solo durante le poche giornate in cui ella si è
dedicata alle nuove mansioni che, peraltro, non richiedevano alcun
impegno e non la occupavano per tutte le ore di lavoro".
Tale motivazione risulta senz'altro conforme al principio sopra
richiamato (essendo evidenziati il criterio e i fatti rilevanti) e
resiste alla censura della ricorrente.
Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente, in ragione della
soccombenza, va condannata al pagamento delle spese in favore della
Omissis.
*P.Q.M.*
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare alla
Omissis le spese liquidate in euro 100,00 per esborsi e euro 4.000,00
per compensi, oltre spese generali e accessori di legge.
Roma 26 giugno 2014
Depositato il 9 settembre 2014
http://www.mog231.it/cassazione-civile-sez-lav-09-settembre-2014-n-18965-mobbing/
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